A quasi 32 anni dalla strana morte di Donato “Denis” Bergamini arriva il passo importante che la famiglia ha atteso a lungo: è stata rinviata a giudizio con l’accusa di omicidio Isabella Internò, l’ex fidanzata del ragazzo. Lo ha deciso il gup di Castrovillari Fabio Lelio Festa accogliendo la richiesta del pm Luca Primicerio. La prima udienza del processo è fissata per il 25 ottobre prossimo. Internò, che oggi ha 52 anni, è accusata di concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione e dai motivi futili.
L’ipotesi dell’accusa è che la donna, all’epoca 19enne, avrebbe voluto punire l’ex fidanzato per aver interrotto il loro rapporto. Dopo averlo narcotizzato e soffocato, con l’aiuto di persone ancora rimaste senza nome, fu realizzata la messinscena del suicidio. Suicidio a cui, infatti, non hanno mai creduto né la famiglia di Denis Bergamini, né i tifosi e le persone che lo conoscevano meglio.
La storia del caso Bergamini è costellata di bugie, depistaggi, sparizione di reperti e capovolgimenti di fronte nelle aule di giustizia. Solo negli ultimi quattro anni, con la riapertura del caso e la riesumazione del corpo del calciatore, un procuratore ha finalmente affermato che quello di Denis non fu un suicidio. Del resto la superperizia parlava chiaro: «morto per soffocamento». Difficile continuare a sostenere ancora la versione che per anni ha offuscato la verità sulla fine di Denis, il racconto di come si fosse tolto la vita gettandosi sotto un camion in corsa. Mentre il suo corpo ha sempre raccontato un’altra storia: i vestiti ancora intatti, l’orologio integro, i calzini ben tirati sul polpaccio.
Già tre decenni fa, infatti, la prima autopsia aveva seriamente contraddetto la ricostruzione dei fatti data da Internò e dal camionista (sul cadavere non c’erano i classici segni di trascinamento per tanti metri sotto un mezzo pesante, nessuna frattura, nessuna grande abrasione, ma piuttosto l’evidenza di uno "schiacciamento da sormontamento" su un fianco) ma quel documento finì in un cassetto.
Così come sparirono nel nulla una nota di servizio dei carabinieri sulle macchine fermate quel 18 novembre 1989 sulla strada del delitto e la scatola dentro cui c’erano i vestiti indossati da Bergamini. Mesi dopo, al padre di Denis vennero fatte recapitare le scarpe del figlio, scampate al “raid” per fare scomparire gli oggetti importanti per l’inchiesta. Gliele diede il direttore sportivo del Cosenza, Roberto Ranzani, che le aveva avute da uno dei factotum della squadra insieme a un messaggio da portare: a fine campionato quella persona sarebbe andata dai genitori del calciatore e avrebbe raccontato quello che sapeva sulla sua morte. Tornando in Calabria dopo l’ultima partita di quella stagione, a Trieste, i due factotum del Cosenza però morirono in un incidente stradale sulla Statale Jonica, a pochi chilometri da dove era stato ritrovato il corpo di Denis.
La famiglia Bergamini non ha mai smesso di battersi per sapere la verità. Oggi, dopo la morte del padre Domizio, a seguire il processo e guardare in faccia il dolore ci sarà Donata, che ha dedicato la vita al ricordo del fratello e alla sua difesa da falsità e bugie diffamanti.
“Dopo decenni di battaglie cercando la verità e giustizia per la morte del fratello, Donata non ce l’ha più fatta, stroncata dalla fatica - ha detto il suo avvocato, Fabio Anselmo -. È mancata all’appuntamento che tanto ha aspettato e desiderato con tutte le sue forze, fino ad esaurirle. Donata Bergamini è la vera vittima di tutto ciò. Non vedo l’ora di ritrovarla accanto a me durante il processo”.
DenisBergamini
3 commenti:
Finalmente giustizia è stata fatta. O perlomeno si spera verrà fatta.
Stiamo facendo dei piccoli passi in avanti. Merito della famiglia Bergamini che non ha mai mollato nemmeno di un centimetro. Meritano giustizia, loro prima di tutti gli altri.
Io sono convinto che finalmente è la volta buona che venga fatta giustizia una volta per tutte.
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