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venerdì 12 novembre 2010

CALCIO, IL FUTURO NON È PIÙ QUELLO DI UNA VOLTA

C’è stato un tempo in cui, alla fine dei campionati, si guardava avanti. I presidenti iniziavano a programmare la nuova stagione. I tifosi si appassionavano alla campagna acquisti e vendite, così si chiamava. I giornali parlavano solo di calcio giocato. Il gossip ancora non tracimava. I giocatori facevano i giocatori, di rado si guadagnavano le prime pagine per vicende non strettamente calcistiche. Gli allenatori erano più ruspanti. Anche loro, oggi, sono spesso più simili a personaggi da rotocalco che a uomini di sport. Si guardava avanti con ottimismo. Il pianeta calcio sembrava immune dalle contaminazioni di un contesto spesso aspro da affrontare. Le partite si giocavano di domenica e iniziavano tutte alla stessa ora. Le televisioni a pagamento non esistevano. I programmi dedicati al calcio erano sobri e condotti con stile conforme alla materia trattata. Facevano eccezione le tv locali, dove si sgomitava per cercare di crearsi la propria nicchia. Aldo Biscardi, con il suo “Processo” urlato, era una voce quasi fuori del coro. Uno stereotipo che ha fatto la sua fortuna, anche gustoso se preso con il contagocce. C’è stato un tempo in cui abbiamo creduto che il calcio non sarebbe mai cambiato, un po’ come la gloriosa Settimana Enigmistica. Ci siamo illusi che sarebbe potuto rimanere sempre uguale a se stesso. Sfogliandolo con la memoria avremmo continuato a ritrovare quello che cercavamo, nella solita pagina. Ogni tanto qualche vicenda oscura si faceva largo, pensiamo alla parentesi triste del calcio scommesse. Poi tutto sembrava tornare al suo posto, come per magia. Si guardava avanti con serenità. Eravamo tutti intrappolati nella magia del calcio, lo sport nazional-popolare per eccellenza, il nostro fedele compagno di viaggio negli anni difficili della crescita economica di un paese uscito a pezzi dalla guerra. Un’Italia frustrata ma non doma, che ha saputo poi eccellere e rivalersi in tutti i campi. Anche nel calcio, certo. Nei favolosi anni ’80 siamo arrivati a primeggiare in Europa e nel mondo grazie a personaggi che fanno parte della storia. C’è stato un tempo in cui credevamo (ancora) nel futuro. Utilizzavamo il presente come volano per rendere migliori uomini e cose. Eravamo certi che il calcio, rimanendo sempre uguale a se stesso, avrebbe continuato a essere il nostro compagno di viaggio anche quando le cose intorno sarebbero cambiate. Temevamo che il business avrebbe tentato di impadronirsene, ma speravamo che gli anticorpi di cui si era dotato avrebbero saputo respingere attacchi troppo intrusivi. Si guardava avanti con spavalderia. La memoria storica di ciò che si è stati e si è riusciti ad essere ci aiutava a conservare le nostre radici. Le esperienze e gli insegnamenti del passato dovrebbero essere la guida per affrontare il presente e proiettarci con animo sereno verso il domani. “Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”. Lo ha scritto, nel 1931, Paul Valéry (Regards sur le monde acque). Sono passati quasi ottant’anni, eccoci ancora qui a ripeterlo. La vita è fatta di corsi e ricorsi. E’ la prova che, per il calcio e non solo, il domani può tornare a essere guardato con ottimismo e determinazione se soltanto sapremo gestire gli inevitabili cambiamenti che il progresso si porta dietro. Il futuro è oggi. La storia siamo noi. Sta solo a noi cambiarla, per non subirla. (Calciopress.it)
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3 commenti:

Winnie ha detto...

Ok, Entius. Bell'articolo ma fra 48 ore c'è il derby. Che ne diresti di scrivere un bel post sull'argomento?

Entius ha detto...

Winnie, ci ho provato ma dopo un paio di idee buttate giù e subito cestinate, mi sono accorto che non avevo nulla da dire sul derby.
Spero che la notte porti consiglio e che domani riuscirò a trovare l'ispirazione per scrivere qualcosa.

Simone ha detto...

Bello questo ritratto del calcio che non c'è più. L'ho trovato molto poetico.
Per quanto riguarda il futuro, lo vedo nero, molto nero, anzi nerissimo.