Lutto improvviso nel mondo dello sport e del giornalismo sportivo. È morto stamattina all’ospedale di Senigallia, in provincia di Ancona, in seguito a un improvviso attacco cardiaco Gianni Mura, 74 anni, storica firma del quotidiano “La Repubblica.
Nato a Milano il 9 ottobre del 1945, aveva iniziato a lavorare come giornalista praticante alla Gazzetta dello Sport nel 1964. Aveva poi collaborato con il Corriere d’Informazione, Epoca e L’Occhio, ed era arrivato a Repubblica per seguire le Olimpiadi di Montreal del 1976. In seguito era diventato uno dei giornalisti sportivi più noti del giornale, seguendo in particolare il campionato di calcio e il ciclismo. Per il quotidiano di Eugenio Scalfari scrive pagine memorabili sullo sport e cura la rubrica domenicale "Sette giorni di cattivi pensieri". È stato anche autore di diversi libri, tra cui "Giallo su giallo", vincitore del premio Grinzane, in cui racconta il suo Tour de France.
Lavorava ancora con la macchina per scrivere, scatenando la curiosità delle televisioni giapponesi o americane. A braccio o con vecchi strumenti, Mura restava sempre il numero uno, per distacco. Se ci fossero davvero allievi del suo livello, si potrebbe dire che Gianni Mura fosse un Maestro, lui che si è sempre sentito allievo di Gianni Brera. Con il suo “Maestro”, condivideva tutto, lo stile, l’acume, l’amore per la letteratura e la buona tavola. Lavorarono insieme alla Repubblica. Al Mundial '82 il quotidiano milanese poteva schierarli entrambi, in una squadra fantastica e irripetibile. Brera sull’Italia, Mura sulle altre.
Una delle frasi più note (“Vado forte in salita per abbreviare l’agonia”) Marco Pantani l’aveva detta in risposta a una domanda di Mura, che per quello scalatore di mare aveva coniato un soprannome che resterà per sempre: «Pantadattilo». Come Brera aveva ribattezzato «Abatino» Gianni Rivera o «Rombo di tuono» Gigi Riva.
Nel suo ultimo pezzo, pubblicato il 15 marzo, attaccava senza troppi giri di parole i comportamenti "imbecilli" di coloro che avevano sottovalutato la portata dell'emergenza coronavirus, da Diego Costa e la sua tosse caricaturale in zona mista ("Resto in attesa che il suo club lo multi, ma ne dubito, oppure lo stanghi la Uefa. Previa traduzione di quella parolina - 'respect', anagramma spectre - che tutti i partecipanti alla competizione recano sulla maglia") a Rudy Gobert che toccaccia tutti i microfoni dopo la conferenza stampa ("Prima reazione: sciocchino, va bene esorcizzare la paura del contagio, ma c'è modo e modo. Già, anche perché Gobert non sapeva di essere contagiato. Seconda reazione: sciocchino è un complimento").
Se ne va un grande giornalista, capace di scrivere pagine memorabili. Uno che faceva questo mestiere con passione e devozione, mettendoci tutto se stesso. Uno che non aveva nulla da spartire con certi pennivendoli che affollano le redazioni sportive e che si vendono per quattro spiccioli. Da oggi il giornalismo sportivo è irrimediabilmente più povero.
6 commenti:
Grande giornalista. Mi piaceva molto il suo stile di scrivere. I suoi articoli erano pezzi di letteratura.
Giornalista vecchio stampo. Uno dei pochi che onorava la categoria.
Insieme a Gianni Brera e Beppe Viola è stato il più grande giornalista sportivo. Sapeva raccontare il calcio e soprattutto il ciclismo come pochi.
Giornalista vero. Di un altro pianeta rispetto ai pennivendoli a cui fai cenno nell'articolo.
Era sempre un piacere leggere i suoi articoli. Ricordo anche che lessi il suo libro "Giallo su Giallo": bellissimo.
Sì, Matrix, l'ho letto anche io. Ed è piaciuto molto anche a me. Sebbene io sia di parte, avendo avuto sempre un debole per lo stile di Gianni Mura.
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