
Le lancette corrono, e se gli
altri mutano, ci sono alcuni frammenti che rimangono impressi. Un insieme di movimenti
ritmici ed armoniosi che delineati su un prato verde disegnano giravolte
memorabili. E se la testa è collegata al cuore. C’è un uomo che ha fatto
muovere freneticamente gli impulsi intellettuali collegati all’irrazionalità di
un gioco chiamato pallone. Un supersantos nelle strade del Rioplatense. Il
pallone diventato vocabolario di un esperanto, linguaggio universale che unisce
tutti i popoli, soprattutto quelli poveri, che per giocare hanno solo bisogno
di ricercare la voglia e di una semplice pelotas.E ora, al passato, ci
voltiamo. La curiosa creatura, il quale, al guardarla ci conduce, talvolta,
all’estasi.
Un tanghero in blues.
Un girovago sovrano.
Colui che ha scritto il
suo destino tra Sud America, Europa ed Asia.
Un inarrestabile
romantico del calcio come simbologia d’appartenenza.
Sudore, sacrificio,
concretezza numerica ed infine affermazione.
Un esemplare quasi
estinto.
Le roi
David Sergio Trezeguet.
Viene notato dagli
osservatori europei, in special modo, quelli del paese d’origine. Ritorna in
patria, tra le file del Monaco, club d’elite a fine anni 90. Arrivato nel
Principato sommessamente, verrà ben presto alla ribalta delle cronache sportive
grazie al suo carattere, ma in special modo, grazie alla sua dote innata, far
goal. Il personaggio che lo ha notato, fin da subito, e lo ha plasmato
tecnicamente è stato il coach Jean Tigana. Un artigiano del centrocampo. Secondo
solo a Michel Platini, nell’annata 84, campione di Francia con il Bordeaux. E’
stato il punto di riferimento nel centrocampo d’oltralpe, allora composto
esclusivamente da numeri 10, il quale fa ritornare alla mente il mitico Brasile del
1970, del quale la Francia sembra essere la versione europea, riveduta e
corretta. Trezeguet e Tigana hanno condiviso la stessa fame e povertà
dell’infanzia che è stata una condizione concreta, anche per il maliano cresciuto
com’è nella banlieue di Marsiglia dopo essere nato a Bamako, nel Mali. “Il
calcio mi ha salvato”, questo era il Jean Tigana pensiero. La stessa visione
della vita di David. Ha trovato un compagno di vita li a Monaco, quel Thierry
Henry, con il quale condividerà una vita quasi parallela. Nella stagione 2000
vince la Ligue 1, con la casacca monegasca, e con la Nazionale Under 21
francese, diventa Campione d’Europa. Arriva, inevitabilmente, la prima
convocazione in Nazionale. L’ex bianconero Didier Deschamps è il suo sponsor
più convinto. Il suo curriculum è inequivocabile. Possiede tutte le doti del
vero attaccante: controllo, lucidità e senso del goal; fortissimo di testa,
calcia indifferentemente con entrambi i piedi. E con tali requisiti, la Vecchia
Signora, nell’estate del 2000, non si lascia scappare un giovane cosi
promettente. Arriva sotto la Mole con in tasca la medaglia d’oro dell’Europeo e
con la benedizione di Zidane, che gli ha assicurato mille assist vincenti.
Tuttavia, non gli assicura il posto in squadra Ancelotti, che deve difendere il
patrimonio della società Del Piero-Inzaghi. Da quel momento inizia una decade
ineguagliabile. Una storia d’amore che non ha un vero epilogo. Le indiscrezioni
odierne, riportano che possa essere investito di una carica dirigenziale sotto
la guida del Presidente Agnelli. Riavvolgiamo
ancora il nastro : dalla prima all’ultima partita, i suoi goal sono il viatico
della Juventus tenacemente protesa al titolo, che manca da troppo tempo. Sua la
micidiale doppietta all’esordio contro il Venezia e sua la rete che, il 5
maggio 2002 ad Udine, prepara la grande festa. In tutto, 24 prodezze che ne
suggellano il titolo di re dei bomber, con l’appendice di nove goal in
Champions League. Nel 2002/03 vince la Supercoppa Italiana da spettatore,
perché infortunato ed un altro scudetto. È una stagione sfortunata, David è
spesso in infermeria, ma ciò non gli impedisce di segnare nove reti in
campionato e quattro in Champions League, di cui due nelle due semifinali
contro il Real Madrid. La finale di Manchester contro il Milan non regala
gioia; dopo una prestazione incolore, Trézéguet si fa parare il suo rigore da
Dida e manca, in questo modo, l’appuntamento con la “Coppa dalle grandi
orecchie”. Nel campionato 2003/04 vince un’altra Supercoppa Italiana; la finale
si disputa a New York contro il Milan; la gara si decide nuovamente ai rigori
dopo che il suo goal aveva salvato la Juventus. Anche questa stagione è
caratterizzata dagli infortuni e per la Juventus piena di delusioni; fuori agli
ottavi di finale di Champions League, il terzo posto in Serie A è il massimo
che riesce ad ottenere. Nell’estate del 2004 sembra che debba lasciare la
Juventus, ma il nuovo allenatore, Fabio Capello lo convince a rimanere. Un
infortunio alla spalla lo tiene lontano dai campi di gioco, ma non fa mancare
il suo contributo. Tra i suoi 14 goal, da ricordare quello in rovesciata al
Real Madrid negli ottavi di finale di Champions League e quello di testa
rifilato al Milan a San Siro, su assist di Del Piero in rovesciata, che consegna
lo scudetto alla “Vecchia Signora”. Ha scritto la storia a tinte bianconere. Anche
nel periodo piu buio, Trezegol, c’è. Nonostante la retrocessione in serie B
della Juventus, decide di rimanere a Torino; affitta un palco dello stadio
Olimpico, per permettere alla propria famiglia di assistere a tutte le partite
casalinghe della squadra bianconera. «Ho fatto una scelta decisiva per la mia
carriera e per la mia vita».
Trézégoal si toglie,
dopo dieci stagioni, la maglia numero 17 bianconera. I suoi numeri: 320
presenze, 171 goal (miglior marcatore straniero della storia).
Una piccola parentesi va,
però, spesa nel raccontare il suo rapporto al termine dei tempi regolamentari.
Superati i 90 minuti, Trezeguet, rientra nell’attrazione degli opposti;
vittorie e sconfitte, principalmente in maglia Blues, in questo ristretto lasso
temporale hanno caratterizzato la carriera del franco-argentino. Celebre il
Golden Goal ad Euro 2000 o il rigore a Germania 2006.
Al termine della
stagione juventina, si profila l’annata in Spagna con la casacca dell’Hercules,
la parentesi al Baniyas, le tre stagioni in Argentina con il River Plate ed il
Newell’s Old Boys. Un dolce ritorno a casa. David è sempre stato fortemente
legato alle tradizioni, ma pur sempre alla ricerca di nuovi stimoli, al
desiderio di provarsi in nuove ed originali esperienze, vero fulcro trainante
della sua illustrissima carriera, con un 17 cucito sulla camiseta che rappresenta molto più di
un semplice numero.
E poi il paradosso. L’Atlantico
come linea di confine ma anche di collegamento con il mondo asiatico.15019.02
km di distanza, precisamente; culture ed etnie totalmente differenti, che hanno
trovato come unione un fuoriclasse leggendario. Pioniere, insieme ad altre
grandi campioni, dell’ambascerie calcistiche nei luoghi più sconfinati del
pianeta, ha visto a calcare i campi profumanti d’incenso e spezie che Pasolini
descriveva con straordinaria resa nel proprio diario “L’odore dell’India”,
rivisitando gli scenari delle mille e una notte raccontati dalla persuadente
Sharazade.
L’epilogo al termine
dell’esperienza nell’Indian League, ha decretato solo la fine del periodo
agonistico di David.
Sliding Doors. L’amore
bianconero è ancora ardente.
La borghesia juventina
ha ancora voglia de Le Roi. Non importa in che veste. L’importante è che abbia la 17 nel sangue reale.
1 commento:
Pe quel gol nella finale dell'Europeo 2000 l'ho odiato a morte. Per fortuna si é fatto perdonare con un decennio bianconero fantastico. Grande bomber, un'attaccante eccezionale .
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