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giovedì 29 marzo 2018

ADDIO "MONDO", IL CALCIO PIANGE EMILIANO MONDONICO

Il calcio è in lutto. Si è spento a 71 anni, compiuti il 9 marzo, Emiliano Mondonico dopo una lunga battaglia contro la malattia.
Nato e cresciuto a Rivolta d'Adda, in provincia di Cremona, il 9 marzo 1947, dopo una carriera da calciatore con le maglie di Cremonese, Torino, Monza e Atalanta, ha iniziato quella di allenatore nelle giovanili della Cremonese, per poi passare a guidare la prima squadra nel campionato di Serie B 1981/82. Nel 1984 riporta la squadra grigiorossa in Serie A dopo 54 stagioni. Nel 1987/88 va all'Atalanta, che condusse nella straordinaria cavalcata fino alle semifinali di Coppa delle Coppe, persa con i belgi del Malines. La partita di Bergamo, una sconfitta per 2-1, è rimasta scolpita nella memoria dei tifosi nerazzurri. Sulla panchina del Torino la definitiva affermazione: quinto posto nel 1991, poi la finale di Coppa Uefa (persa con l'Ajax), e la conquista della Coppa Italia nel 1992/93 contro la Roma.
Nella sera della finale Uefa dei granata ad Amsterdam alzò la sedia per protestare contro l'arbitro. Torna all’Atalanta un’altra volta, dal 1994 al 1998 (promozione in A e finale della Coppa Italia poi persa con la Fiorentina), ancora l'esperienza al Toro. Successivamente va ad allenare al Sud (Napoli e Cosenza), guida la Fiorentina, i cugini di campagna dei bergamaschi (l’AlbinoLeffe), ancora la Cremonese, prima di chiudere col Novara, l’ultima squadra allenata quando la malattia si era già manifestata. Poi iniziative benefiche e tanto lavoro con i giovani.
Emiliano Mondonico era un’icona nazional-popolare del calcio pane e salame. Generoso, ribelle, spiazzante, mai banale. Quello che, da giocatore, si faceva squalificare apposta per non perdere il concerto dei Rolling Stones al Palalido di Milano. Quello che nella sera della finale Uefa del Torino ad Amsterdam alzava la sedia per protestare contro l’arbitro. Nell’immaginario collettivo quel gesto è diventato il simbolo di chi non sopportava le ingiustizie: dopo la prima operazione, decine di granata si ritrovarono al Filadelfia alzando una sedia.
Da sette anni lottava con il cancro, che lui stesso chiamava la Bestia. Dopo l'intervento, il rientro a tempo di record e la salvezza conquistata sulla panchina dell'Albinoleffe. "Ho conosciuto un avversario particolare in corso d'opera - disse allora - ma non posso ancora dire di averlo sconfitto. Convivere con il pensiero di qualcos'altro oltre all'Albinoleffe non è affatto semplice. Come faccio a regalarvi certezze se non sono sicuro di essere qui tra un mese?". E qualche mese fa: "Il cancro non è invincibile, il calcio mi dà la forza per continuare a sfidarlo".

Ebbi subito l’impressione di aver di fronte una persona semplice, molto umile, che scherzò con gli studenti e rispose alle loro domande. Ammise di entrare per la prima volta in un’università e perciò di voler imparare qualcosa dal mondo studentesco universitario. Per rompere il ghiaccio esordì dicendo che era lì perché gli servivano suggerimenti per la partita della domenica successiva, strappando un sorriso dei presenti.
(…) A fine incontro il tifoso prese il sopravvento sull’aspirante giornalista e mi misi in fila insieme con gli altri per avere il suo autografo. Mentre usciva dall’aula ci incrociammo e mi venne spontaneo porgergli la mano “Mister lei è un grande, complimenti per la carriera e in bocca al lupo per il futuro”. Lui ricambiò il gesto con una stretta di mano fugace e un mezzo sorriso “Grazie, in bocca al lupo anche a te”. (QUELLA VOLTA CHE CONOBBI IL "MONDO"...)

2 commenti:

Mattia ha detto...

A me ha sempre dato l'impressione di una brava persona, di un allenatore "genuino" che ci metteva cuore e passione in quello che faceva. Mi dispiace moltissimo che non ci sia più.

Entius ha detto...

L'unica volta che ho avuto modo di parlarci dal vivo (l'ho anche raccontato nell'articolo che cito alla fine) ho avuto la stessa impressione. Bravissima persona, molto umile e disponibile.