Un’interessante chiave di lettura della finale di Champions League che contrasta nettamente con quello che ho scritto io sabato sera. Col senno di poi devo ammettere che la mia valutazione non è stata poi così corretta. E soprattutto un gol al 93esimo non può far cambiare il giudizio su una gara (al 71′ il colpo di testa di Sergio Ramos sarebbe invece stato ‘giusto’).

Ancelotti è stato quindi fortunato? Se il gol del pareggio segnato al 93′, dopo avere comunque dominato l’ultima mezzora con un Atletico in ginocchio fisicamente e attaccato solo alla forza dei suoi difensori centrali e alla partita eroica di Villa, è fortuna allora Ancelotti è stato fortunato (al 71′ il colpo di testa di Sergio Ramos sarebbe invece stato ‘giusto’, secondo questa impostazione mentale). Questo non toglie che per vincere, vale per gli uomini e per le squadre, bisogna essere ad alto livello con costanza e poi ogni tanto l’anno fortunato capita, a bilanciare i dimenticati anni di sfortune. Il Manchester United di Ferguson ha vinto due sole Champions League, in modi che definire fortunosi è riduttivo (2 gol dopo il 90′ nel 1999, scivolata di Terry sul rigore decisivo nel 2008). L’organizzatissimo Bayern dopo l’era di Beckenbauer giocatore ha vinto una volta ai rigori e un’altra con un gol nel finale (85′ è classe e 93′ fortuna?). Lo stesso Real Madrid nell’ultimo decennio è stato quasi abbonato alle semifinali. A volte va bene, a volte male. Lo sa bene Ancelotti, non esattamente fortunato a Istanbul 2005. Che ha la qualità principale degli allenatori da grande squadra: allena per far vincere i giocatori, non per diffondere la propria visione del calcio. È l’unico modo per sopravvivere in mezzo a fuoriclasse presuntuosi e presidenti invadenti, senza perdere la faccia. Solo così, ognuno con il suo stile, si rimane credibili al di là di annate no e situazioni contingenti: perché senza Sergio Ramos adesso Ancelotti sarebbe sulla via del ritorno al Milan, con il terzo posto (su due partecipanti) nella Liga ad essergli ricordato in ogni intervista… E lo stile di Ancelotti è diverso, a parità di rango, da quello di altri grandi: non è il guru alla Guardiola o il capopopolo alla Mourinho, ma, come ha ben scritto un suo non estimatore come Luciano Moggi nel suo ultimo libro, l’amico dei giocatori. Strategia che paga, quando i giocatori sono abbastanza forti e intelligenti da non approfittarsene… Alla fine la regola è che se sei sempre lì, per decenni, qualcosa raccogli. E non è che chi perde sia per forza un cretino, soprattutto se ha un budget di un quarto rispetto agli avversari.
FONTE: GuerinSportivo
3 commenti:
Il mondo del calcio ha la memoria corta, un perdente con un colpo di fortuna diventa magicamente un grande vincente, non ci sono vie di mezzo: o tutto o niente.
Il mondo del calcio ha la memoria corta, un perdente con un colpo di fortuna diventa magicamente un grande vincente, non ci sono vie di mezzo: o tutto o niente.
Vabbè, Ancelotti non mi pare proprio un perdente. Tre Champions da allenatore e altrettante da giocatore...
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