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venerdì 19 aprile 2013

CALCIO IN CRISI. RILANCIARE I VIVAI? MEGLIO IL TERZO EXTRACOMUNITARIO

Allargare da due a tre il numero di extracomunitari tesserabili per ogni singolo club. Questa la proposta su cui stanno lavorando i presidenti di Serie A. Il Presidente della Lega Maurizio Beretta ha lasciato intendere segnali di apertura verso la proposta mentre, come ovvio che sia, è già stata bocciata da Damiano Tommasi, presidente dell’associazione Italiani Calciatori. “Il terzo extracomunitario? I numeri parlano chiaro, di sicuro non è questo che servirebbe per rilanciare i nostri vivai”.
Opinione condivisibile da parte di tutti quella di Tommasi. La tremenda e devastante crisi economica che ha travolto l’economia mondiale, e di conseguenza anche il calcio, ha costretto tutti (sceicchi a parte) a ridimensionare gli investimenti da dirottare nel mondo del pallone. L’unica via percorribile per rilanciare il calcio italiano sarebbe quella di puntare sui vivai, sui talenti nostrani da crescere, istruire e valorizzare. Il made in Italy è un marchio conosciuto nel mondo, in tutti i settori, soprattutto nel calcio. Perché allora mortificarlo, limitarlo, senza nemmeno provare a rilanciare un prodotto che nel calcio ha sempre dato tanto.

Invece i nostri presidenti non trovano di meglio che rimpolpare il numero di extracomunitari tesserabili dai nostri club. I calciatori italiani costano molto, e anche per questo molti club cercano sempre di più il nome esotico pagandolo per il più delle volte un terzo di un giovane italiano. Aumentare a tre il numero di extracomunitari, però, rischia seriamente di farci tornare indietro di qualche anno quando bastava avere un cognome che finisse in ‘inho’ per infiammare i cuori dei tifosi e strappare un contratto in Italia. Non è certo una novità il fatto che spesso e volentieri le nostre società preferiscano puntare sul giocatore dal nome che fa effetto piuttosto che provare a dare fiducia ad un giovane del proprio vivaio.
Aprire la porta al terzo extracomunitario sarebbe una scelta infelice. Anche se piuttosto che cambiare le regole, bisognerebbe cambiare la mentalità sulla questione. Tornare a pensare che il Caldirola, il De Sciglio, il Florenzi, il Marrone di turno sono patrimonio del nostro calcio e come tali vanno trattati. E che la soluzione migliore è puntare alla loro valorizzazione non ad allargare il numero di extracomunitari tesserabili.
Ciò non toglie che se un calciatore è forte, lo è indipendentemente dal passaporto. Però in Italia siamo  forse tra i migliori al mondo a valorizzare il proverbio: "fatta la legge, trovato l'inganno". Sono tanti i giocatori, soprattutto sudamericani, che sbarcano nel nostro campionato grazie a passaporti comunitari strappati attraverso complicati collegamenti nell'albero genealogico che saranno legalmente inattaccabile ma senza ombra di dubbio sono altrettanto moralmente discutibile. Tornare al terzo extracomunitario è dunque il modo forse peggiore per rilanciare i vivai italiani di un calcio sempre più in crisi. Peccato che l’abbiano capito tutti tranne i Presidenti…

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2 commenti:

Mattia ha detto...

In altre nazioni é quasi normale puntare su i giocatori del proprio settore giovanile (altrimenti a che serve avere un settore giovanile?). In Italia si punta sullo straniero. Meglio un Neymar che un El Sharaawy.

Stefano ha detto...

Il problema non é il terzo extracomunitario ma la mentalità dei nostri Presidenti e dirigenti. Ben venga il terzo extracomunitario a patto che si comprino giocatori veramente forti e non solo dal nome esotico. E soprattutto a patto che la priorità rimanga quella di valorizzare i propri giovani.