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martedì 12 maggio 2020

35 ANNI FA VERONA FESTEGGIAVA IL TRICOLORE

Il 12 maggio del 1985 è una data da segnare in rosso nella storia del calcio italiano: quel giorno il Verona vinse il primo e unico scudetto della sua storia al termine di una stagione vissuta in testa fin dalla prima giornata con la vittoria sul Napoli di Maradona, finita in trionfo nonostante la resistenza di un grande Torino e dell'Inter di Rummenigge e Brady.
Che quel Verona fosse una cosa seria si capì fin dalla prima giornata, quando al Bentegodi rovinò l’esordio in serie A di Diego Maradona asfaltando il Napoli per 3-1. Alla seconda giornata i gialloblù erano in testa da soli dopo il 3-1 sul campo dell’Ascoli e alla quarta giornata lo 0-0 a San Siro contro un’Inter che veniva considerata la grande favorita per lo scudetto fu il primo segnale di grandezza, subito seguito dal 2-0 interno contro la Juventus. Briegel e Marangon firmarono alla decima giornata la vittoria (2-1) sul campo del Torino, che poi sarebbe arrivato secondo.

Solamente all’ultima giornata d’andata arrivò per gli uomini di Bagnoli la prima sconfitta stagionale, 1-2 sul campo dell’Avellino. Ma nonostante il risultato negativo, il Verona quel giorno si laureò campione d’inverno.

Il girone di ritorno cominciò con uno 0-0 sul campo del Napoli e con l’aggancio in classifica da parte dell’Inter, ma già dalla partita successiva (Verona-Ascoli 2-0) riprese la vetta della classifica per non abbandonarla mai più. Un solo momento complicato in quei mesi fu il giorno in cui il Torino andò a vendicarsi al Bentegodi battendo i gialloblù per 2-1 con i gol di Aldo Serena e Walter Schachner. A due giornate dalla fine il vantaggio del Verona sul Torino era di 4 punti e il 12 maggio del 1985 i ragazzi di Bagnoli andarono a prendersi il punto che serviva sul campo dell’Atalanta: 1-1 con reti di Perico ed Elkjaer.
Qualcuno attribuisce molti meriti dello scudetto 1985 al sorteggio integrale degli arbitri che venne applicato solamente in quella stagione. Una tesi ovviamente non dimostrabile. Molto più semplice raccontare di come il lavoro di Bagnoli sia stato importante per amalgamare un gruppo che anche nella stagione precedente aveva dato le sue soddisfazioni.
Osvaldo Bagnoli, milanese purosangue (veniva dalla Bovisa, periferia milanese) è sempre riuscito a trasmettere la sua straordinaria umanità ai suoi giocatori. Per lui il calcio lo fanno i giocatori e non gli schemi. Il suo Verona giocava con un 5-3-2. In porta c’era Claudio Garella detto Garellik. Il libero era Roberto Tricella. Uno dei due marcatori era praticamente sempre Silvano Fontolan, fratello maggiore di Davide, mentre accanto a lui veniva impiegato quasi sempre Domenico Volpati, con l’alternativa di Mauro Ferroni. Sugli esterni, a destra l’inesauribile Pierino Fanna, sulla sinistra Luciano Marangon.
Era però il centrocampo il vero segreto di quella squadra, illuminato dalla qualità e dalla lucidità di Antonio Di Gennaro, che nelle mani di Bagnoli divenne un giocatore di livello internazionale. Sulla sua destra agiva spesso Luciano Bruni, ma poteva stare anche Volpati quando Ferroni veniva schierato da marcatore, in alcuni casi anche Luigi Sacchetti. Sul centro-sinistra giocava Hans-Peter Briegel, generoso all’inverosimile, potente, preciso, devastante, inarrestabile nelle progressioni, capace in quella stagione di mettere a segno 9 gol.
Se Briegel era un campione vero, altrettanto si può dire dell’altro straniero (all’epoca se ne potevano tesserare due), il danese Preben Elkjaer Larsen, per comodità Elkjaer. Potente come pochi attaccanti, capace di partire in solitaria e di umiliare tre-quattro difensori avversari, in grado di resistere alle cariche e agli spintoni (segnò una rete alla Juventus dopo aver perso una scarpa nella foga), ma anche di creare assist e spazi per il suo compagno d’attacco, “Nanu” Galderisi, che dopo l’inizio promettente alla Juve aveva trovato proprio a Verona la sua vena migliore: 11 reti nell’anno dello scudetto. Questo era il gruppo base. Ogni tanto Bagnoli buttava in campo per spezzoni di partita il contropiedista Turchetta per dare respiro e Galderisi e Elkjaer, qualche spezzone portò a casa anche il centrocampista Dario Donà. Per il resto, solo comparse.
Furono loro gli eroi che compirono l’impresa, furono loro a portare a Verona un’incredibile scudetto che a distanza di sette lustri continua ad essere considerato un evento incredibile e straordinario che difficilmente potrà ricapitare di nuovo.

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3 commenti:

Lady Marianne ha detto...

Una cosa del genere non succede così facilmente. Del resto, se ci pensate, negli ultimi 50 anni è avvenuto solo 3 volte: nel 1970 il Cagliari, nel 1985 il verona e nel 1991 la Sampdoria. Per il resto lo scudetto ha sempre la strada di metropoli come Torino, Milano, Roma e Napoli.

Ciaskito ha detto...

Troppi interessi in ballo. Oggi sarebbe impossibile un'affermazione di una provinciale.

Entius ha detto...

@Ciaskito. C'è troppo dislivello tra le grandi e il resto delle squadre. A parte che quelli erano altri tempi. I campioni all'epoca arrivavano anche in squadre medio piccole. Cosa che oggi non succede più.