Ogni calciatore, dal campione della serie A all’amatore del giovedì sera, si è innamorato del “gioco del pallone” da bambino. Giocando in giardino o sotto il palazzo, in strada o sul campetto dell’oratorio. Alla fine, si sa, il calcio è un gioco semplice: bastano due pietre come pali, un pallone ed è subito Maracanà.
Tra i palloni maggiormente utilizzati dai bambini degli ultimi sessant’anni c’è sicuramente il Super Santos. Una sfera in pvc arancione, del diametro di circa 23 centimetri, prodotto da un’azienda italiana, la Mondo. Chi non ci ha giocato quando magari non arrivava ancora al metro d’altezza? Chi non ha tentato, calciandolo violentemente, di imitare Mark Lenders e Holly Hutton prima ancora che Maradona o Totti? E chi non si è arrabbiato perché un rinvio maldestro lo aveva fatto finire tra le spine, bucandolo all’istante? Ah, la bucatura: quante leggende!
Puntualmente compariva l’esperto che, dopo averlo masticato con misurata maestria, incollava un chewing gum sul foro e poi comandava di correre a prendere un rotolo di nastro adesivo, “prima che si sgonfi completamente”. Se pure l’operazione chirurgica fosse andata a buon fine, il pallone sarebbe comunque diventato una pallina. “Ma che ce ne frega… quanto stiamo?” e giù a giocare fino a quando una mamma non avesse urlato il nome di un terzino o di un centravanti, minacciando di non farlo scendere più se non fosse scattato a casa all’istante. “Ci vediamo domani, voglio la rivincita!”, minacciava il portiere, forte del fatto che i portieri nel calcio sono come i batteristi nel metal: gente rara e preziosa, da venerare come divinità.
Il Super Santos è stato, in moltissimi casi, il primo pallone di un esercito di calciatori. L’origine della specie, il primo motore (im)mobile, l’arché. Dopo di lui ci sarebbe stato il Tango, poi magari un vero pallone di cuoio, infine il pallone ufficiale di qualche manifestazione calcistica continentale o mondiale. Prima di lui, invece, il nulla o quasi: palline colorate, palle di spugna o palloncini che andavano a vento. Il Super Santos era il primo a cui si potesse consegnare la dignità di “pallone da calcio”, nonostante avesse gli effetti al contrario: se tiravi di interno, ad esempio, tutti i palloni giravano “a rientrare”; solo il Super Santos girava “ad uscire”. Così un tiro alla Del Piero finiva in fallo laterale e una ciabattata vergognosa finiva all’incrocio dei pali.
Le generazioni cresciute nel periodo antecedente alle Playstation e alle Xbox avevano un rituale non scritto, che si ripeteva ad ogni latitudine: al ritorno da scuola, pranzo veloce e vorace; compiti da finire entro l’inizio di Bim Bum Bam, la trasmissione di cartoni animati in onda su Italia Uno; puntata di Holly e Benji; discesa da casa con saluto fugace al parentume e via di corsa ad imitare le giocate del famoso anime giapponese. Qualcuno si sbucciava la schiena tentando di imitare la catapulta infernale dei gemelli Derrick, qualcun altro si stampava con la faccia sul palo tentando il tuffo alla Benji Price. Il Super Santos era il protagonista assoluto, la conditio sine qua non di quei pomeriggi infiniti.
A riprova dell’importanza culturale di questo pallone arancione leggerissimo e, al tempo, decisamente poco costoso (oggi, purtroppo, il mercato ha portato il suo costo a oltre 5 euro), al Super Santos sono stati dedicati racconti, canzoni, fumetti, quadri, persino un’effige degna di presenziare sulle magliette di svariati gruppi ultras, come simbolo di contrarietà al calcio moderno e di ritorno ai valori puri del calcio di strada, tra scugnizzi e pischelli. L’esempio più celebre di quanto il Super Santos appartenga ormai alla cultura popolare e intergenerazionale del Paese è forse rappresentato dai versi che il famoso cantante comico napoletano Tony Tammaro, nel suo album Dark Side of the Moonnezz del 2005, ha scritto per una canzone dal titolo Super Santos:
“Quante volte ti ho tirato dentro a un vetro? Quante volte tu non sei tornato indietro? Quante volte sei finito nel terrazzo del signore al quarto piano del palazzo? Quante volte sei finito dentro al mare? E ti ho perso perché io non so nuotare. Quante volte cù 'na granda rovesciata ho segnato... ma nella porta sbagliata!? Supersantos, Supersantos, Una macchia di arancione in mezzo al blu…”FONTE: RIVISTA SUPERSANTOS
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8 commenti:
Caspiterina quanti ricordi!!!!
Il Supersantos è un pezzo importante della nostra infanzia.
I pomeriggi passati nel cortile del palazzo a giocare fino a sera. Sfide interminabili che si concludeva non col triplice fischio arbitrale, ma con l'urlo di una mamma che si affaccia dal balcone. Bei momenti...
E qui scatta inevitabilmente la lacrimuccia. Domani mattina mi sa che vado a comprarmi un Supersantos...
@Simone. E le partite alle 7 di mattina dove le metti?
@Entius. Tu giocavi alle 7 di mattina? E a scuola non ci andavate?
@Brother. Intendevo d'estate, ovviamente.
Un semplice Supersantos è una miniera di ricordi, emozioni e aneddoti per ognuno di noi. Perché tutti, ma proprio tutti, siamo cresciuti giocando con questo pallone.
@Entius. Noi d'estate facevamo le full immersion da mattina a sera. Per la disperazione delle mamme...
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