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venerdì 17 luglio 2015

E’ MORTO GHIGGIA, L’UOMO CHE ZITTI’ IL MARACANA’

Solo tre persone nella storia hanno fatto zittire il Maracanã con un gesto :Giovanni Paolo II, Frank Sinatra e io”.
Alcides Edgardo Ghiggia, che pronunciò questa frase, si è spento ieri notte all’età di 88 anni per un attacco cardiaco. Ironia della sorte a 65 anni esatti da quel 16 luglio 1950 in cui con un gol diede vita a quell’impresa che molti ricorderanno come il “Maracanazo”, il momento più nero per il calcio brasiliano (eguagliato forse solo da quel pesante 1-7 subito lo scorso anno nella semifinale mondiale contro la Germania) e decisamente il momento più indimenticabile per il calcio uruguaiano che ancora oggi a distanza di molti anni ricordano quella finale Mondiale in cui la Celeste beffò il Brasile, gettando nello sconforto un intero Paese.

Nato a La Blanqueada, quartiere del ceto medio di Montevideo, nonostante il fisico minuto aveva cominciato a giocare a basket nel Nacional: fu dirottato al calcio nel Penarol di cui i suoi erano tifosi. E anche quando, più avanti, il Nacional provò a fargli firmare un contratto per giocare con i piedi, sua madre Gregoria, donna di casa dedita al cucito, lo avvertì: "Se vai da quelli lì, non metti più piede in questa casa". A 18 anni, la sua prima squadra. Poi il Progreso, quindi il Penarol. Arrivarono due scudetti, nel '49 e nel '51.

Ghiggia giocò solo 12 partite con l'Uruguay e segnò 4 reti. Una in ogni partita in quel Mondiale. Un record poi eguagliato da Jairzinho col Brasile nel '70. Il 2-1 del Maracanaço arrivò in diagonale, con la palla passata sotto il fianco di Moacir Barbosa, il primo portiere nero della Seleçao, forse il più grande di sempre, non fosse per quella rete che lo condannò a un ergastolo morale.
Ghiggia fu picchiato, tornò a casa in stampelle, ma nel 2009 il Brasile gli ha concesso di lasciare la sua impronta nella Walk of fame del Maracanà.
Picchiò un arbitro nel derby col Nacional, fu squalificato per 15 mesi e dunque venne in Italia, acquistato dalla Roma, nel '53. Ghiggia restò alla Roma otto stagioni, giocava con la foto di mamma Gregoria nei calzettoni, passava a prendere ogni giorno Carletto Mazzone, voleva scarpette sempre lucide e chiamò suo figlio Arcadio in onore del capitano, Arcadio Venturi. Fu conquistato dalla Dolce Vita: le pellicce, tre Alfette, il jet set, le donne, le liti con i paparazzi, gli alberghi di lusso, l'amicizia con Gassman e la Lollobrigida, lo scandalo quando fu trovato in auto con una quattordicenne e condannato per atti osceni in luogo pubblico. In Italia e nell'Italia ritrovò Schiaffino: insieme, da oriundi, nelle fallimentari qualificazioni mondiali del '58. Con la Roma vinse la Coppa delle Fiere, col Milan, dove passò per appena 4 partite, lo scudetto del '62. Tornò in patria, giocò nel Danubio fino a 42 anni. Poi accettò l'impiego pubblico al casinò.
Ghiggia è morto nella località di Las Piedras, dove viveva e gestiva un supermercato, non lontano da Montevideo. Qualche tempo fa era stato vittima di un incidente quando un camion aveva travolto la sua auto causandogli numerose fratture e mettendo a rischio la sua vita. Il figlio Arcadio ha raccontato di come il padre si sia spento guardando una partita di Coppa Libertadores in tv, nella stanza d'ospedale dove era già ricoverato da tempo.
Ghiggia era l'unico sopravvissuto di quei 22 uruguaiani, di quel gruppo dell'anno domini 1950. Lui, il fantasma del Maracanà. Lui, l’uomo che zittì il Maracanà, privilegio che, come lui stesso affermò, non è capitato a molti.

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1 commento:

Rudy ha detto...

Per la serie "quando basta un gol per entrare nella storia del calcio".