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giovedì 11 novembre 2021

NAZIONALE MILITARE, STORIA DI UNA RAPPRESENTATIVA VINCENTE CHE NON ESISTE PIU'

I più giovani, per questioni anagrafiche, non lo ricordano, ma chi ha superato i tre decenni di vita sicuramente hanno attraversato quel passaggio obbligatorio chiamato "servizio militare". 
Un vero rito di passaggio che almeno nelle intenzioni metteva tutti sullo stesso piano: studenti, lavoratori, ricchi, poveri e... calciatori. Anche per loro, nonostante una carriera professionistica già avviata o sul punto di scattare, era inevitabile il passaggio in caserma. Essendo poi per definizione degli atleti “di sana e robusta costituzione”, l’essere riformati era un’eventualità nemmeno presa in considerazione. 
Rispetto agli sportivi di altre discipline, dall’atletica al nuoto fino agli sport invernali, i calciatori non hanno bisogno di arruolarsi nei corpi militari per poter sostenere, anche economicamente, la propria carriera agonistica. Per questo il servizio militare era visto da giocatori e club come una scomodità da espletare nella maniera più indolore possibile: un’esigenza che l’Esercito non ebbe problemi ad accogliere, prendendo atto della specificità del calcio (un concetto che non nasce oggi, evidentemente). 
La settimana tipo dei calciatori nell’anno di servizio militare era quindi molto particolare: in caserma dal lunedì al venerdì, tendenzialmente senza incarichi operativi ma con un programma di esercizio fisico specifico, poi libera uscita nel fine settimana per raggiungere il resto della squadra ed essere a disposizione per la partita della domenica. Per le eventuali partite di Coppa, serviva una dispensa speciale del responsabile del proprio Corpo d’armata, trattandosi di espatrio. 
La difficoltà era chiaramente logistica, visto che la Caserma Atleti più importante d’Italia era a Barletta, ma anche puramente professionale: quando non ti alleni con i compagni per tutta la settimana, non è facile mantenere il proprio posto in squadra. Un’altra caserma famosa era quella di Avellino, dove nel 1995 prestarono servizio come Bersaglieri Fabio Cannavaro, Marco Delvecchio, Fabio Galante e Alessandro Del Piero. 
La totalità dei giocatori professionisti sceglieva di arruolarsi nell’esercito, l’idea dell’obiezione di coscienza era praticamente non considerata almeno fino al 1995, quando fece scalpore la scelta di un centrocampista del Verona, allora in Serie B, che scelse di svolgere il servizio civile presso l’emittente locale Telepace. Il giocatore in questione era Damiano Tommasi, e su quella scelta controcorrente ha posto le basi per una carriera da giocatore totalmente fuori dagli schemi e dai luoghi comuni. 
L’attività dei calciatori in caserma non era solo fine a se stessa, ma era legata anche alla cosiddetta Nazionale militare, che partecipava ogni due anni ai Mondiali di categoria. Finché la squadra è esistita, ovvero fino al 2005, quando ormai la leva obbligatoria era stata abolita, ha rappresentato uno dei punti d’orgoglio dello sport italiano, vincendo ben 8 mondiali, spesso schierando una formazione molto simile a quella della parallela nazionale Under 21. 
Degli otto trionfi, il più memorabile resta quello del 1987 ad Arezzo, quando gli azzurri, con in campo tra gli altri Ciro Ferrara e Gianluca Vialli, batterono 2-0 la Germania Ovest, che schierava un 19enne Oliver Bierhoff a centrocampo (!). 
Storie di un calcio e di un’Italia che non ci sono più, anche se il Mondiale militare permane tuttora: l’ultima edizione, disputata a Wuhan nel 2019, ha visto il Bahrein battere in finale il Qatar, mentre nella finalina per il terzo posto l’Algeria ha battuto la Corea del Nord. Le gerarchie sono state prevedibilmente sovvertite dall’abbandono della leva obbligatoria da parte di quasi tutti i Paesi europei.

 Articolo tratto da GOAL ITALIA

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3 commenti:

Mattia ha detto...

Alla fine era una sorta di Under 21. Come hai scritto anche tu.

Simone ha detto...

Mamma mia quanti ricordi. Mi riferisco alla naja.

Entius ha detto...

@Simone. Concordo in pieno...