L’estate del 1999 sembrava scorrere tranquilla per il calcio italiano. Le polemiche sul calciomercato si erano placate, la questione arbitrale era passata in secondo piano, e tutti gli appassionati attendevano con trepidazione l’inizio del nuovo campionato.
Ma il 26 agosto, come un fulmine a ciel sereno, esplose una bomba che avrebbe potuto sconvolgere gli equilibri del pallone nostrano.
Questa volta, la miccia fu accesa da una lettera-confessione, inviata non a un quotidiano sportivo o a un programma televisivo, bensì a Famiglia Cristiana, il settimanale cattolico più diffuso in Italia. Una scelta inusuale che rese ancora più clamorosa la rivelazione.
Questa la missiva del calciatore pentito, che svelava un segreto che avrebbe potuto riscrivere la storia recente del calcio italiano:
"Carissimo padre, ho pensato per tutta la notte prima di mettermi a scrivere e a raccontare tutto il peso che mi porto dentro. Volevo andare da un confessore, ma la grata non avrebbe nascosto il rossore. Poi mi sono ricordato che Famiglia Cristiana è una parrocchia di carta e allora eccomi qui. Sono un calciatore e mi sono venduto in una partita importantissima. Mi sono comportato in modo da danneggiare la mia squadra, allettato dalle promesse di un ottimo contratto; mi sono comportato male verso la mia vecchia squadra e i tifosi. Che brutto mondo, padre. Ma io non vivo più da quando ho fatto quello che le sto raccontando. Ho un peso dentro, la coscienza ferita, ho finito di essere un uomo. Nell’ambiente del calcio si fa questo e altro. Il giro dei soldi ha ucciso tutto e io ne sono rimasto vittima. La gente si allontana dal calcio, e fa bene. Forse se continua ad abbandonarci, questo sport ne trarrà giovamento e noi calciatori saremo meno vittime. So che ho falsato il campionato, ma chi mi perdonerà per quello che ho fatto?”
Parole pesanti come macigni, che gettavano un’ombra inquietante sull’integrità del campionato appena concluso. La risposta di Famiglia Cristiana fu improntata alla ricerca di una redenzione morale, invitando il pentito a confessarsi, denunciare il misfatto alle autorità sportive e riparare al male compiuto con opere di bene:
"E’ vero, ci sono leggi del mercato e dello spettacolo da rispettare… ma sono proprio le uniche?… Anche il calcio, per non venire snaturato, ha bisogno di una base etica… di ideali veri… Mi rivolgo ora direttamente a te, caro amico… Tu sei evidentemente pentito per quello che hai fatto, perciò non devi temere: il Signore ti perdona… Ti manca solo un piccolo gesto di coraggio e umiltà: accostarti a un confessore. Poi c’è il secondo aspetto, quello della riparazione… La prima strada è quella della denuncia all’autorità sportiva, perché sia fatta giustizia. Se non avrai il coraggio… devi cercare di liberarti appena possibile dei tuoi corruttori, non solo non accettando altre offerte dello stesso genere, ma allontanandoti da loro. Nel frattempo, dovrai giocare con lealtà e impegno… C’è un’altra strada perché il torto possa essere riparato… Caro amico, credo che non ti manchino le possibilità di riparare al male con opere concrete di bene, di aiuto, di solidarietà, con atteggiamenti di amore e perdono, testimoniando il valore della lealtà, della giustizia, dell’onestà attraverso la tua vita…"
Ma quale fu questa “partita importantissima”? Il settimanale cattolico mantenne il più stretto riserbo, limitandosi a confermare l’autenticità della lettera. Tuttavia, il mondo del calcio iniziò immediatamente a interrogarsi e a formulare ipotesi.
I riflettori si accesero sulla Serie A, con particolare attenzione alle partite decisive per lo scudetto e la salvezza. Il Milan di Zaccheroni, fresco campione d’Italia, finì inevitabilmente sotto la lente d’ingrandimento. Si tornò a parlare della vittoria per 5-1 dei rossoneri sul campo dell’Udinese, un risultato che all’epoca aveva scatenato le proteste di Sergio Cragnotti, presidente della Lazio seconda classificata.
Ma non fu l’unico match a destare sospetti. Anche Udinese–Lazio 0-3, Udinese–Perugia 1-2 e Perugia–Milan 1-2 finirono nel mirino delle speculazioni. L’Udinese, presenza costante in queste partite “sospette”, si ritrovò suo malgrado al centro delle attenzioni.
Tuttavia, Famiglia Cristiana non confermò mai che si trattasse di una partita di Serie A. “Mai abbiamo detto che era una partita di A. Tutto nasce da un titolo“, fu la replica del settimanale alle speculazioni. In effetti, furono i giornali del gruppo Monti a titolare “Caro Padre, ho venduto lo scudetto“, pur non essendoci alcun riferimento allo scudetto nella lettera originale.
Questa precisazione aprì scenari ancora più inquietanti. Se il calciatore pentito fosse stato un giocatore di Serie B o C? In fondo, anche nelle serie minori si giocano partite “importantissime”, decisive per promozioni, retrocessioni o qualificazioni ai playoff. Il cerchio dei sospettati si allargava potenzialmente a centinaia di professionisti.
La gravità delle accuse non poteva lasciare indifferenti le autorità. Tre Procure si misero al lavoro per far luce sulla vicenda: quella di Torino, guidata dal procuratore Guariniello, già noto per le sue indagini sul doping nel calcio; la Procura di Roma; e quella di Alba, dove viene stampata Famiglia Cristiana.
Gli inquirenti si trovarono di fronte a un muro di silenzio. Il direttore del settimanale, interrogato da Guariniello, invocò il segreto professionale che tutela i giornalisti. Alcuni esperti suggerirono che, in quanto sacerdote, avrebbe potuto anche avvalersi del Concordato per non rivelare l’identità del pentito.
Mentre le indagini proseguivano, il mondo del calcio iniziò a interrogarsi sulle possibili conseguenze di questa vicenda. Se il pentito avesse rivelato quale partita aveva “venduto”, quali sarebbero state le ripercussioni?
Dal punto di vista legale, il calciatore rischiava un’incriminazione per frode sportiva, con pene da tre mesi a tre anni e multe fino a 50 milioni di vecchie lire. Sul fronte sportivo, oltre a una squalifica di almeno tre anni per il giocatore coinvolto, le squadre implicate avrebbero potuto subire pesanti penalizzazioni, da scontare nel campionato successivo.
Lo scenario più clamoroso riguardava l’ipotesi che la partita in questione avesse coinvolto il Milan. In tal caso, lo scudetto appena conquistato sarebbe stato revocato, con la possibilità che venisse assegnato alla Lazio, seconda classificata.
Indipendentemente dall’esito delle indagini, questa vicenda gettò l’ennesima ombra pesante sul calcio italiano.
La confessione del pentito, vera o presunta che fosse, riportò alla mente i fantasmi del calcioscommesse degli anni ’80, quando la polizia fece irruzione negli stadi per arrestare i calciatori coinvolti.
Quella del 1999 si rivelò un’estate di passione per il calcio italiano. Dopo lo scandalo doping dell’anno precedente, sollevato dalle dichiarazioni di Zeman, il pallone nostrano si ritrovò nuovamente nell’occhio del ciclone.
Il 5 febbraio 2000, la procura della FIGC chiuse il caso del cosiddetto “pentito del calcio”. La FIGC spiegò che, nonostante le indagini approfondite, non fu possibile identificare l’autore delle dichiarazioni a causa del riserbo mantenuto dal direttore del settimanale coinvolto.
Cinque giorni dopo, anche la procura di Udine concluse le sue indagini. Il procuratore Giuseppe Lombardi dichiarò che non furono riscontrati illeciti nel campionato di calcio 1998/99 a Udine, in particolare nella partita Udinese-Perugia.
Infine, il 13 maggio 2001, il direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino, e il redattore don Antonio Rizzolo furono assolti dall’accusa di reticenza. Entrambi si erano appellati al segreto confessionale per giustificare il loro silenzio sulla fonte delle informazioni.
tutto bene madamalamarchesa
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